L’agroecologia per il futuro della biodiversità

Il manifesto di oltre 360 ricercatori per un’agricoltura più sostenibile

Più di un terzo delle terre emerse è sfruttato e ormai depauperato (a volte in modo irreversibile), e il 62% delle specie viventi è minacciato dall’estinzione. Questo il conto, più che salato, delle attività umane legate all’agricoltura. Conto che sarà al centro della prossima conferenza mondiale sulla biodiversità (la quindicesima o COP15, da non confondersi con le più famose COP sul clima), la prima dopo la pandemia, che dovrebbe svolgersi nel 2021 in Cina e che dovrebbe tracciare le linee guida del futuro della produzione di cibo.

Per arrivare all’appuntamento preparati, 366 ricercatori di 42 paesi, coordinati da Thomas C. Wagner dell’Università di Gottinga, in Germania, e della Westlake University cinese, hanno firmato un manifesto-appello che contiene alcune proposte per il prossimo post-2020 Global Biodiversity Framework (GBF), invitando il mondo a cambiare punto di vista e a riorganizzare il sistema agricolo in modo ecologico e sostenibile, per farne un punto di forza e non di criticità della rivoluzione in atto.

orto urbano
366 ricercatori hanno firmato un manifesto a sostegno dell’agroecologia nin vista della COP15 sulla biodiversità del 2021

Uscito su Nature Ecology & Evolution, il testo parte dallo stato attuale, sottolineando come il ricorso pervasivo e massiccio a fertilizzanti e fitofarmaci sia ormai del tutto insostenibile e come sia indispensabile ripartire da pratiche agricole che tutelino, innanzitutto, la biodiversità e proteggano tutte le specie, a cominciare dagli insetti, senza i quali nessuna agricoltura è possibile. Fermare la perdita di specie con coltivazioni improntate alla biodiversità significa anche dare nuova vita alle zone protette, che potrebbero essere così collegate tra di loro e non isolate e, per questo, molto meno utili rispetto alle reali potenzialità. Tra l’altro, le specie preservate in un intero sistema sostenibile sarebbero molto più resistenti alle minacce climatiche rispetto a quelle di oggi, e la ricerca a loro dedicata riceverebbe nuovi impulsi.

Anche per quanto riguarda le specie da coltivare, è oggi cruciale utilizzare la maggior varietà possibile, comprese piante cadute in disuso (ma non di rado più resistenti di quelle attuali), diversificare e far crescere così la capacità di resistenza di un sistema che ha nell’omologazione, nelle monocolture e nella povertà genetica delle sementi il suo vero tallone d’Achille. Nessun cambiamento può poi fare a meno del fattore umano: le popolazioni locali, quelle indigene e soprattutto i piccoli coltivatori, che vanno coinvolti in ogni passaggio e durante ogni processo di transizione.

Il documento si propone in definitiva come piattaforma di discussione, in modo che si arrivi alla COP15 con iniziative e progetti concreti, che diano finalmente corpo alle tante dichiarazioni degli ultimi anni, tutte concordi sulla necessità di cambiare radicalmente prospettiva, e che sanciscano una nuova, autentica ripartenza per il sistema agricolo mondiale.

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