Articolo di di Agnese Codignola
Saranno mesi decisivi per i neonicotinoidi, gli insetticidi tra i più usati ma anche sotto accusa da anni per la scomparsa delle api e non solo. Nelle prossime settimane l’Efsa completerà il suo ultimo rapporto e darà indicazioni sull’opportunità o meno di vietarne l’impiego, ed entro il 2018 la US Environmental Protection Agency farà lo stesso. A partire da inizio anno, inoltre, la Francia, che ha già deliberato in merito, non li impiegherà più, anche se sono previste eccezioni. Ma cosa effettivamente è stato dimostrato, e cosa resta da chiarire, al di là delle strumentalizzazioni e delle battaglie ideologiche? Per fare un po’ di chiarezza, Nature ha pubblicato un lungo articolo in cui riassume gli studi più importanti e i passaggi cruciali di una vicenda che sembra molto lontana dal trovare una sua risoluzione.
La storia ha inizio nei primi anni ottanta, quando il chimico della Bayer Tokushu Noyaku Seizo lavorando ai derivati della nitiazina, un insetticida introdotto una decina di anni prima in California, mette a punto l’imidacloprid. La sostanza, cento volte più potente della nitiazina stessa, viene lanciata sul mercato nei primi anni novanta. Il successo è istantaneo, e già nei primi anni duemila questa molecola e i suoi simili rappresentano un quarto dell’intero mercato dei pesticidi. In molti casi questi composti, che agiscono direttamente sul sistema nervoso degli insetti, vengono applicati direttamente sui semi, andando così a contaminare anche i terreni.
Nel giro di pochi anni, però, in Francia, dove l’imidacloprid è stato molto usato sui semi di girasole, gli apicoltori lanciano l’allarme: le loro api da miele non riescono più a costruire gli alveari, e questo accade soprattutto quando volano sui campi di girasole. È il 1994, e occorrono 5 anni prima che il governo emani un divieto specifico per queste piante, in base al principio di precauzione. Ma limitare l’uso dei neonici (questo l’altro nome con cui sono conosciuti nel mondo) non basta: la moria di api continua ovunque, anche in Francia.
Nel frattempo nella letteratura scientifica si moltiplicano le segnalazioni di intossicazioni mortali delle api entrate in contatto con dosi elevate di neonicotinoidi, e di comportamenti inusuali quali l’incapacità di alimentarsi, di riconoscere il profumo dei fiori o di rientrare all’alveare anche quando le dosi sono considerate basse. Nel 2010, in uno studio francese gli esperti dell’Istituto per le api di Avignone parlano esplicitamente di intossicazione da tiometoxam, mentre uno inglese dimostra che i neonici – e in particolare proprio l’imidacloprid – sono molto pericolosi anche per i bombi: una volta esposti, essi non riescono più a generare regine (ce ne sono l’85% in meno). I due lavori fanno scalpore, e spingono l’autore di quello sui bombi a fondare una Task Force on Systemic Pesticide, che raccoglie una trentina tra i massimi esperti mondiali e, dopo aver analizzato ben 800 studi, conclude che tutte le prove dimostrano la necessità urgente di regolamentare in maniera severa il settore.
In seguito vengono pubblicati numerosi altri studi, tra i quali quello condotto nei campi di Ungheria, Germania e Gran Bretagna, che non porta a conclusioni univoche perché le api da miele, quelle domestiche e i bombi tedeschi hanno resistito bene ai neonicotinoidi, al contrario di quanto avvenuto negli altri paesi.
Nel frattempo, tra le cause della crisi delle api vengono prese in considerazione varie infezioni da parassiti, altri insetticidi dati in contemporanea ai neonici, il riscaldamento globale, l’inquinamento, la siccità e altri fattori ambientali e antropici, e molti dubitano dell’efficacia dei neonicotinoidi. Il dibattito pro e contro infuria senza esclusione di colpi, con accuse di complicità con le multinazionali (in primo luogo Bayer e Syngenta, i principali produttori), dati truccati e altre argomentazioni molto pesanti.
Secondo Nature ciò che è sicuramente tossico è il dibattito, che sarà ben difficile riportare su un piano di razionalità e di numeri credibili. Ma è indispensabile fare ogni sforzo per giungere a una verità condivisa, anche perché i neonicotinoidi sono ormai diffusi in tutto il mondo, come ha dimostrato uno studio pubblicato su Science poche settimane prima: tra il 2012 e il 2016, analizzando 198 campioni di miele provenienti da decine e decine di paesi per la presenza di cinque di essi – l’imidacloprid, l’acetamiprid, la clotiandina, il tiacloprid e il tiametoxan –, i ricercatori dell’Università di Neuchatel, in Svizzera, hanno dimostrato che il 75% del miele ne contiene almeno uno, il 45% due o più e il 10% quattro o cinque, anche se le concentrazioni rilevate sono generalmente al di sotto dei limiti di legge. Nello stesso periodo la catastrofe degli alveari è diventata realtà quasi ovunque: una strana coincidenza, troppo importante per essere ignorata.